Meeting salute e comfort ambienti di vita confinati (2020)


EDITORIALE


La recente emergenza ha messo in luce la difficoltà di saper controllare il propagarsi dei fenomeni di contagio virale soprattutto negli spazi chiusi, sia essi destinati alla vita quotidiana, sia in quelli adibiti all’ospitalità e alla cura delle persone più fragili. Dal report del 16 maggio pubblicato dal Corriere della Sera [di Erin S. Bromage, professore associato di Biologia presso l’Università del Massachusetts] citato anche dal New York Times, emerge chiaramente come la maggior parte dei casi di positività al virus si siano sviluppati all’interno delle abitazione e delle strutture sanitarie, in ragione del tempo di esposizione, dove il confinamento (lockdown) degli individui si è realizzato, sia perché tali soggetti già conclamati sono stati costretti al confinamento stesso, sia rispetto a coloro che per precauzione lo praticavano in auto-quarantena. Abbiamo inoltre potuto constatare come le strutture pubbliche e le abitazioni private non fossero in grado di sorreggere le misure di distanziamento personale ne quello sociale, per il deficit congenito di dotazione di spazi adeguati sin dalla loro concezione strutturale, basate su standard di dimensionamento risultati inadeguati alle nuove “esigenze” di vita, di salute e sicurezza. Le criticità, come nodi che prima o poi vengono al pettine, sono emerse con tutta la loro invasività, portando con se un carico di virulenza altissimo misurabile a livello epidemiologico con il dato più atroce, il numero dei morti accertati, non tanto distante purtroppo da quello reale che secondo le indagini e le inchieste avviate per esempio in provincia di Bergamo dall’ordine dei medici, risulterebbe largamente superiore. Si parla di oltre 64 mila casi di contagi con oltre 3 mila casi di morte solo nella provincia. 

Ciò constatato, con estrema delicatezza verso le famiglie e profondo rispetto per le persone mancate, come dato ormai ineludibile, siamo oggi a riproporre il tema scottante della prevenzione, del monitoraggio e del risanamento ove spesso necessario, sia dell’inquinamento indoor sia della cosiddetta sindrome da edificio malato SBS., definita così della OMS. e affrontata con un certo grado di tempismo se non addirittura in anticipo, con il primo Meeting interdisciplinare e transettoriale promosso dalla Fondazione habitat umano il 4 e 5 ottobre 2019 a Taormina e Lipari secondo gli indirizzi del proprio Statuto. In quella occasione, mettendo a confronto esperti, tecnici, decisori dei diversi livelli istituzionali e settoriali, si potè rilevare come in ambito territoriale la questione della salubrità indoor, della relativa sicurezza e del benessere psicofisico in generale, ed in particolare dell’impatto di una cattiva regimentazione dell’aria al chiuso sulla salute umana e sulla vivibilità delle famiglie con disabilità, fosse in atto del tutto trascurato. L’incontro, quale tavolo per il dibattito e servizio informativo di comunità, ebbe modo di ricondurre all’attenzione della filiera socio-sanitaria la latente emergenza prima ancora di quella in corso, grazie anche all’adesione di strutture accreditate del sistema sociosanitario regionale ed il sostegno dell’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, oltre alla partecipazione degli organi tecnico- amministrativi degli enti locali coinvolti. Senza i grandi clamori della cronaca poi vissuti durante l’emergenza, ma con il risalto degli organi di stampa e la doviziosa e circostanziata motivazione data dai Relatori ed il riscontrato interesse dall’uditorio stesso, in quella occasione si mise per esempio in risalto l’esigenza per le amministrazioni locali di riprendere il cammino virtuoso abbandonato negli anni, come indicato dalla legge sulla disabilità e dalle disposizioni normative sull’abbattimento delle barriere architettoniche, oltre che dai piani di accessibilità urbana.

Il Meeting pose l’accento altresì sulla obsolescenza dei settori tecnici delle amministrazioni nel poter affrontare, in sinergia con le aziende sanitarie provinciali, i temi della cosiddetta igiene ambientale sia essa applicata agli ambienti di vita domestica che di pubblica fruizione (come le scuole), ma in quel momento storico ancora distanti dalla attuale ribalta data dalla emergenza, e soprattutto carente per le famiglie più deboli. Sono proprio queste ultime che attraverso i cosiddetti “caregiver” patiscono le vicissitudini quotidiane di dover gestire il malato “cronico” a domicilio, con la collaborazione spesso inadeguata del sistema sanitario nazionale. Se è vero quindi che gli studi in atto di esperti e ricercatori pubblici e privati tendono a verificare come il virus si propaghi nell’aria legandosi al particolato atmosferico, acuendone la virulenza nelle aree del Paese ove l’inquinamento e lo smog è maggiore, è altrettanto vero che l’OMS ha dedicato particolare attenzione agli effetti sanitari dovuti ai livelli di inquinamento degli ambienti indoor, determinati principalmente dall’uso di combustibili di bassa qualità per il riscaldamento degli ambienti e dalla preparazione dei cibi, ma anche dall’uso di sostanze chimiche per l’igiene personale e per la pulizia degli ambienti, aromi per la profumazione indoor, pitture, vernici, ecc. Questa componente riveste un ruolo rilevante se si considera che la popolazione trascorre la maggior parte del tempo in ambienti chiusi (abitazione, scuola, lavoro, solo per citarne alcuni). Allora sarebbe altrettanto importante verificare come lo stesso virus oltre agli altri elementi patogeni e sostanze volatili presenti all’interno degli spazi chiusi, possa incidere più o meno nel propagarsi e quindi in grado di debilitare la salute umana a seconda del coefficiente di salubrità propria di ogni ambiente confinato, cosa che è oggetto della Ricerca COVID-habitatumano promossa dalla Fondazione. E ancora; se è vero che l’organizzazione più o meno razionale dell’accoglienza dei casi positivi conclamati, necessita di reparti o aree specializzate, vere e proprie zone anti-contagio, con i relativi dpi. dispositivi di protezione individuale, allora è altrettanto vero che allo stesso modo devono essere riqualificati interi stabili dove soggetti positivi o anche portatori sani, dato l’alto indice di contagiosità accertata del virus, come le scuole, saranno a contatto con i nostri figli e intere generazioni e strati di popolazione; si parla di una bacino di quasi dieci milioni di individui che saranno chiamati, alla riapertura delle attività didattiche, a coabitare e convivere nei prossimi mesi con il rischio latente. I temi suscitati dal Meeting di Taormina e Lipari del 2019, relativi a salubrità e comfort negli ambienti di vita confinati, oggi diventano urgenti e ancor più decisivi, dovendo puntare l’attenzione più che sul comfort, soglia di qualificazione dello spazio vitale a questo punto quasi elitaria di fronte all’emergenza, piuttosto sulla sicurezza ed igiene delle nostre abitazioni come dei luoghi deputati alla cura e tutela della Persona. 

Per queste ragioni, prima che in ossequio al mandato istituzionale della Fondazione, la vision della “habitat umano” si rinnova nel 2020 con maggiore impulso rispetto a quanto già emerso nella fase 1 della propria Azione, consapevoli che il tragitto da percorrere tracciato nella prima fase istitutiva recente, oggi è ancor più necessaria. Lungo il solco delle vicissitudini umane in corso, risalta come lo scopo a cui si è votata l’istituzione morale a tutela dell’habitat umano fosse di grande importanza per la comunità e ... (art. 2 Statuto) “in favore dei soggetti svantaggiati per la salute e sicurezza nel loro ambiente di vita”. Priorità della Fondazione, attraverso il Meeting che si vuole riproporre per il secondo anno consecutivo con l’edizione 2020, sarà estendere l’impegno oltre che alle famiglie con svantaggio umano e sociale anche alla comunità tutta, che si è stretta, come durante una vera e propria guerra, in un unico grande sistema - paese, protesa alla ricerca di nuovi paradigmi di convivenza, di salute e di abitabilità.

(Francesco Ferrara) *

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